Quasi nulla, anzi nulla di nulla, è stato detto dei
passeggeri "arabi" del vicino Medioriente che sono morti sul TITANIC.
Si apprende che le vittime erano tutte libanesi ad eccezione di una persona
egiziana. Niente di loro si è detto che hanno perso la vita in questa
tragedia, anche se il mondo continua a ricordarne le vittime ogni anno. Con
la preziosa collaborazione del giornalista Kamal Kobeissi e con gentile
consulenza di Claudia Avolio, voglio vedere di colmare questa lacuna.
Il villaggio di Kafr Mishki, che si trova a sudest di Beirut, è quello che
ha sofferto di più nella tragedia del TITANIC. Il villaggio ha perso
tredici dei suoi residenti, su una popolazione totale di poco inferiore alle
cinquecento persone. C'è poi il villaggio di Hardine, nel Libano del nord,
che ha perso undici dei suoi abitanti. Quando la nave iniziò ad affondare,
probabilmente, questi passeggeri si erano riuniti in un angolo e si erano
messi a recitare versi.
Uno dei dettagli che più colpiscono nella ricerca sulle vittime "arabe" del
TITANIC, è quello fornito dalla scrittrice Laila Salloum Elias,
siriana-americana, nel suo libro dal titolo "Il sogno e poi l'incubo". La
scrittrice si è basata su quanto pubblicato dai giornali arabi all'epoca in
cui la nave è affondata. Secondo la Elias molti dei libanesi, che hanno
perso la vita sul TITANIC, furono in realtà colpiti a morte da colpi
di armi da fuoco, per essersi rifiutati di obbedire agli ordini del
personale della nave. Uno di loro è stato ucciso per aver provato salire su
una scialuppa di salvataggio.
Anche se l'elenco delle vittime fa emergere chi tra loro fosse "arabo", è
difficile trovare informazioni sufficienti circa la loro nazionalità precisa
e su quali circostanze li abbiano condotti a bordo del TITANIC. Una
delle prime difficoltà è il modo in cui i nomi, spesso non corretti, furono
trascritti negli elenchi ufficiali. Per esempio, Yusuf diventava Joseph,
Boutros sarebbe stato Peter, e così via.
Una delle vittime veniva da una famiglia che portava il nome Badr,
originaria della Tripoli nel nord del Libano. Il nome è stato trascritto
come "Badt" dalla stampa di quel tempo, e se il primo nome della vittima non
fosse stato Mohammed, nessuno avrebbe pensato che fosse "arabo". Lo stesso è
accaduto con uno dei sopravvissuti, originario di un villaggio di Chanay,
nel Libano dell'ovest: Nassef Qassim Abi al-Muna, questo il suo nome, egli
venne trascritto come "Albimona".
Molti dei passeggeri "arabi" sulla nave erano semplici operai e contadini,
dato che ci viene rivelato dal "contratto di viaggio" da loro firmato con la
compagnia White Star Line.
Il numero dei libanesi (81) sul TITANIC li rende una delle
nazionalità tra le più presenti sulla nave: si è risaliti
all'identificazione di 20 donne e 46 uomini. Il più giovane tra loro aveva
16 anni, il meno giovane aveva 45 anni, e avevano con sé i loro figli che
avevano dai tre mesi fino ai 15 anni. Solo 32 di loro sopravvissero alla
tragedia. Il fatto che fossero libanesi non è stato appurato dai documenti
di viaggio: nel 1912 si dicevano abitanti della Grande Siria, che includeva la
Siria appunto, il Libano, la Palestina e la Giordania. Se si è riusciti ad
identificarli come libanesi, invece, è perché provenivano da villaggi che
hanno mantenuto lo stesso nome fino ai giorni nostri.
Nell'equipaggio del TITANIC, composto in totale da 899 membri, c'era
anche qui un libanese, Mansour Meshaalani, diventato
Albert
Meshaalani. Nato nel 1860 ed a quei tempi cittadino britannico a tutti gli
effetti, si occupava della stampa dell'Atlantic Daily Bulletin, il
bollettino quotidiano che informava i passeggeri delle attività che potevano
svolgere a bordo ed inoltre aveva il compito di guidare la squadra che
pubblicava la lista dei menu.
"Albert"
Meshaalani non sopravvisse alla tragedia.
Il ventisettenne egiziano Hammad Hassab, oltre ad essere l'unico non
libanese, fu il più famoso dei passeggeri "arabi" a bordo del TITANIC.
Tale fama è attribuita al fatto che accompagnò un ricco americano a bordo
della nave. Sui documenti il suo nome era scritto "Hamad", ma nella lista
passeggeri è stato registrato come Hassah. Di lui si sa che lavorava a Il
Cairo come guida turistica e traduttore: nei suoi documenti si legge la voce
"dragomanno", cioè interprete dall'arabo. E' proprio nella capitale egiziana
che il giovane incontrò Henry Harper e sua moglie Myna. Quando il ricco
americano stava per ripartire, disse ad Hassab che avrebbe avuto sommo
piacere di condurlo con loro negli Stati Uniti, qualora avesse voluto.
L'invito trovò poi subito l'entusiasmo di Hassab, che si unì al viaggio. Dal
porto francese di Cherbourg salirono a bordo del TITANIC: Harper, sua
moglie e Hassab sopravvissero tutti alla tragedia della nave grazie alla
prontezza con cui salirono sulla scialuppa di salvataggio numero 3. Una
piccola nota, dopo la tragedia Hassab fece ritorno in Egitto e continuò a
lavorare come interprete: sul suo biglietto da visita c'era scritto "Hammad
Hassab, sopravvissuto al naufragio del TITANIC". |