La storia degli arabi del TITANIC

 

Deyoub Makhayeb, libanese,  fu uno dei superstiti del disastro del
TITANIC.

Adal Nasrallah aveva solo 14 anni quando è sopravvissuta affondamento del TITANIC.

Niqula Nasrallah, marito di Adal, è morto nell’affondamento dopo aver aiutato sua moglie a salire su di una scialuppa di salvataggio.



Quasi nulla, anzi nulla di nulla, è stato detto dei passeggeri "arabi" del vicino Medioriente che sono morti sul TITANIC. Si apprende che le vittime erano tutte libanesi ad eccezione di una persona egiziana. Niente di loro si è detto che hanno perso la vita in questa tragedia, anche se il mondo continua a ricordarne le vittime ogni anno. Con la preziosa collaborazione del giornalista Kamal Kobeissi e con gentile consulenza di Claudia Avolio, voglio vedere di colmare questa lacuna.
Il villaggio di Kafr Mishki, che si trova a sudest di Beirut, è quello che ha sofferto di più nella tragedia del TITANIC. Il villaggio ha perso tredici dei suoi residenti, su una popolazione totale di poco inferiore alle cinquecento persone. C'è poi il villaggio di Hardine, nel Libano del nord, che ha perso undici dei suoi abitanti. Quando la nave iniziò ad affondare, probabilmente, questi passeggeri si erano riuniti in un angolo e si erano messi a recitare versi.
Uno dei dettagli che più colpiscono nella ricerca sulle vittime "arabe" del TITANIC, è quello fornito dalla scrittrice Laila Salloum Elias, siriana-americana, nel suo libro dal titolo "Il sogno e poi l'incubo". La scrittrice si è basata su quanto pubblicato dai giornali arabi all'epoca in cui la nave è affondata. Secondo la Elias molti dei libanesi, che hanno perso la vita sul TITANIC, furono in realtà colpiti a morte da colpi di armi da fuoco, per essersi rifiutati di obbedire agli ordini del personale della nave. Uno di loro è stato ucciso per aver provato salire su una scialuppa di salvataggio.
Anche se l'elenco delle vittime fa emergere chi tra loro fosse "arabo", è difficile trovare informazioni sufficienti circa la loro nazionalità precisa e su quali circostanze li abbiano condotti a bordo del TITANIC. Una delle prime difficoltà è il modo in cui i nomi, spesso non corretti, furono trascritti negli elenchi ufficiali. Per esempio, Yusuf diventava Joseph, Boutros sarebbe stato Peter, e così via.
Una delle vittime veniva da una famiglia che portava il nome Badr, originaria della Tripoli nel nord del Libano. Il nome è stato trascritto come "Badt" dalla stampa di quel tempo, e se il primo nome della vittima non fosse stato Mohammed, nessuno avrebbe pensato che fosse "arabo". Lo stesso è accaduto con uno dei sopravvissuti, originario di un villaggio di Chanay, nel Libano dell'ovest: Nassef Qassim Abi al-Muna, questo il suo nome, egli venne trascritto come "Albimona".
Molti dei passeggeri "arabi" sulla nave erano semplici operai e contadini, dato che ci viene rivelato dal "contratto di viaggio" da loro firmato con la compagnia White Star Line.
Il numero dei libanesi (81) sul TITANIC li rende una delle nazionalità tra le più presenti sulla nave: si è risaliti all'identificazione di 20 donne e 46 uomini. Il più giovane tra loro aveva 16 anni, il meno giovane aveva 45 anni, e avevano con sé i loro figli che avevano dai tre mesi fino ai 15 anni. Solo 32 di loro sopravvissero alla tragedia. Il fatto che fossero libanesi non è stato appurato dai documenti di viaggio: nel 1912 si dicevano abitanti della Grande Siria, che includeva la Siria appunto, il Libano, la Palestina e la Giordania. Se si è riusciti ad identificarli come libanesi, invece, è perché provenivano da villaggi che hanno mantenuto lo stesso nome fino ai giorni nostri.
Nell'equipaggio del TITANIC, composto in totale da 899 membri, c'era anche qui un libanese, Mansour Meshaalani, diventato
Albert Meshaalani. Nato nel 1860 ed a quei tempi cittadino britannico a tutti gli effetti, si occupava della stampa dell'Atlantic Daily Bulletin, il bollettino quotidiano che informava i passeggeri delle attività che potevano svolgere a bordo ed inoltre aveva il compito di guidare la squadra che pubblicava la lista dei menu. "Albert" Meshaalani non sopravvisse alla tragedia.
Il ventisettenne egiziano Hammad Hassab, oltre ad essere l'unico non libanese, fu il più famoso dei passeggeri "arabi" a bordo del TITANIC. Tale fama è attribuita al fatto che accompagnò un ricco americano a bordo della nave. Sui documenti il suo nome era scritto "Hamad", ma nella lista passeggeri è stato registrato come Hassah. Di lui si sa che lavorava a Il Cairo come guida turistica e traduttore: nei suoi documenti si legge la voce "dragomanno", cioè interprete dall'arabo. E' proprio nella capitale egiziana che il giovane incontrò Henry Harper e sua moglie Myna. Quando il ricco americano stava per ripartire, disse ad Hassab che avrebbe avuto sommo piacere di condurlo con loro negli Stati Uniti, qualora avesse voluto. L'invito trovò poi subito l'entusiasmo di Hassab, che si unì al viaggio. Dal porto francese di Cherbourg salirono a bordo del TITANIC: Harper, sua moglie e Hassab sopravvissero tutti alla tragedia della nave grazie alla prontezza con cui salirono sulla scialuppa di salvataggio numero 3. Una piccola nota, dopo la tragedia Hassab fece ritorno in Egitto e continuò a lavorare come interprete: sul suo biglietto da visita c'era scritto "Hammad Hassab, sopravvissuto al naufragio del TITANIC".


 
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